«La cosa sorprendente delle gocce d’acqua è che prendono sempre il percorso con la resistenza minore. Per gli esseri umani è esattamente il contrario» dal film Lo straordinario viaggio di T.S. Spivet
Lettere da Babbo Natale
J.R.R. Tolkien è celebre per essere l’autore del “Signore degli anelli”: meno noto è che fosse il papà di quattro bambini, John, Michael, Christopher e Priscilla che per anni, a partire dal Natale 1920, si sono visti recapitare, da misteriosi fattorini, lettere scritte niente meno che da… Babbo Natale! La corrispondenza era contenuta in buste affrancate coi bolli delle Poste Polari ed era corredata di disegni, poesie e racconti.
Quel misterioso Babbo Natale, che raccontava di strani incontri coi Bimbi-neve e con Gnomi rossi, degli Elfi e dei cattivissimi Goblin, era lo stesso Tolkien, il quale proprio nelle “Lettere da Babbo Natale” dà prova di quanto avesse compreso la potenza della scrittura a mano.
Mentre generalmente le scritture artificiali, accurate e costruite come certamente lo è quella di questo speciale Babbo Natale, fanno trasparire una sensazione di simulazione, di poca spontaneità e di distacco, in questi manoscritti è invece impossibile scorgere freddezza e ipocrisia. Essi godono di un brio e di una spontaneità capaci di incarnare non solo un Babbo Natale infreddolito e molto (molto!) anziano ma soprattutto quel Tolkien-padre che riversa sul foglio tutto l’amore per i propri figli e per quella dimensione fanciullesca di cui è portatore: niente infantilismi, dunque, ma piena, consapevole, straordinaria creatività.
La creatività di Tolkien traspare dall’abilità di far “interpretare” il gesto grafico ai diversi protagonisti che, di volta, in volta, alternano la loro voce a quella tremolante di Babbo Natale: la scrittura dell’Orso Bianco del Nord, per esempio, un pasticcione combinaguai che si ferisce tagliando gli alberi di Natale e che si ammala di pertosse, è inizialmente grossa, pesante e maldestra, per poi divenire via via più personalizzata, benché sgrammaticata; quella degli Elfi rossi e verdi è frizzante, veloce, leggera e «un po’ a scarabocchi». Ma c’è anche l’elfico, uno stile un po’ troppo rachitico per i gusti di Babbo Natale e quindi poco usato, l’alfabeto dei Goblin, il runico e i graffiti delle grotte dove vive l’Orso delle Caverne…
La scrittura di Tolkien in queste lettere, più che artificiale è visiva, ricca di particolari non casuali, che diventano funzionali a quei figli che ancora non sapevano leggere ma a cui era necessario comunicare la magia del Natale: i capoversi, ricchi di Ricci di ammanieramento, perdono l’ipocrisia e l’algido rigore della cura grafica e diventano calde decorazioni; i puntini colorati che costellano molte delle lettere, somigliano a luminarie natalizie; gli allunghi inferiori, che di frequente arrivano a superare di gran lunga la riga sottostante, sono scie lasciate sulla neve o giochi che non disturbano né inquietano il lettore, ma che, piuttosto, indispettiscono e fanno il solletico….
Dal 1976 le “Lettere da Babbo Natale” sono una pubblicazione. Una meravigliosa pubblicazione.
La storia di Spigolo e Bernoccolo
Spigolo e Bernoccolo sono due amici inseparabili.
Anzi, per dirla proprio tutta, Bernoccolo sembra fatto apposta per dare uno scopo a Spigolo e Spigolo non avrebbe motivo di esistere se non per dar vita a Bernoccolo.
Un giorno Spigolo si stava addormentando guardando la TV quando fu svegliato da un trambusto spaventoso!
La fronte di un piccolo omino riccio e risoluto, aveva violentemente sbattuto contro di lui.
Le grida del cucciolo erano così forti che Spigolo pregò Bernoccolo di accorrere in suo aiuto.
Bernoccolo, con la sua proverbiale lentezza, si avvicinò così alla fronte del piccolo omino e, piano piano, vi si adagiò.
Il cucciolo smise di piangere e Spigolo tirò un sospiro di sollievo….le grida dei bambini gli mettevano sempre un po’ di agitazione.
Intanto Bernoccolo, che si dava un sacco di arie quando si trovava su qualche piccola testa, decise di indossare il suo abito più elegante, d’un bel blu intenso, capace di attrarre anche gli occhi più distratti.
Dopo qualche giorno, il colore del vestito di Bernoccolo cominciò a sbiadire; era arrivato il momento di tornare a casa e così, piano piano, se ne andò, lasciando alla piccola fronte solo un debole ricordo e lanciando uno sguardo d’intesa a Spigolo.
Entrambi sapevano che non sarebbe trascorso troppo tempo prima di aver bisogno, ancora, uno dell’altro….
L’Angelo

Un angelo ferito senza braccia e con una sola ala. Un angelo pronto a spiccare il volo.
Un angelo capace di sentire il tuo dolore e di sorreggerti.
Angelo imperfetto. Che trascende.
L’inventore di sogni

«Quando Peter Fortune aveva dieci anni, i grandi dicevano che era un bambino difficile. Lui però non capiva in che senso. Non si sentiva per niente difficile […].
Fu solo quando era ormai già grande da un pezzo che Peter finalmente capí. La gente lo considerava difficile perché se ne stava sempre zitto. E a quanto pare questo dava fastidio. L’altro problema era che gli piaceva starsene da solo. Non sempre naturalmente. Nemmeno tutti i giorni. Ma per lo piú gli piaceva prendersi un’ora per stare tranquillo in qualche posto, che ne so, nella sua stanza, oppure al parco. Gli piaceva stare da solo e pensare i suoi pensieri.Il guaio è che i grandi si illudono di sapere che succede dentro la testa di un bambino di dieci anni […].
Quanto a stare per conto suo, be’, neanche quello ai grandi andava giú. A mala pena sopportano che lo faccia uno di loro. Se ti unisci alla compagnia, la gente sa che cosa ti passa per la mente. Perché è la stessa cosa che sta passando per la mente degli altri. Se non vuoi fare il guastafeste, devi unirti alla compagnia. Ma Peter non la pensava cosí. Non aveva niente in contrario a stare con gli altri quando era il caso.
Ma la gente esagera.
Anzi, secondo lui, se si fosse sprecato un po’ meno tempo a stare insieme e a convincere gli altri a fare lo stesso, e se ne fosse dedicato un po’ di piú a stare da soli e a pensare a chi siamo e chi potremmo essere, allora il mondo sarebbe stato un posto migliore, magari anche senza le guerre.»
L’inventore di sogni – Ian McEwan
Domande

Siamo circondati da risposte. Talvolta, a sfuggirci, sono le domande.
Stolì

Stolì era una buffa creatura che viveva sulla nuvola più alta in cielo.
Aveva un compito decisamente molto importante: ogni sera, quando il sole se ne andava a riposare e la luna faceva capolino, si aggirava tra le stelle per accenderle.
La sua passione era cercarne sempre di nuove e spente, soprattutto tra le più piccole, tra le più fragili, tra le più timorose di splendere.
Stolì non era il suo vero nome, ma tutti, in cielo, lo chiamavano così perché quando gli chiedevano dove vivesse, lui rispondeva Sto lì!, indicando un luogo non ben precisato, in fondo al cielo.
Quando tutte le stelle erano ben illuminate e brillavano davvero, Stolì se ne tornava sulla sua nuvola, si stendeva a pancia in giù con le mani sotto il mento, e rimaneva incantato a guardare tutto lo splendore che emanavano.
Tarassaco

Una leggenda narra che, nella notte dei tempi, Dio chiese a tutti i fiori quali doni volessero ricevere: Tarassaco, a questa domanda, si trovò impreparato e iniziò a balbettare….
Non riusciva a scegliere: lui avrebbe voluto essere come il sole, somigliare alla luna e sembrare polvere di stelle.
Dio osservò a lungo Tarassaco e, dopo aver ascoltato tutti, notò era il fiore meno vanitoso: non aveva chiesto di essere bello o di essere profumato, di avere una corolla sgargiante o di essere slanciato, di essere ricco o di essere forte.
Lui voleva solo somigliare al cielo.
Dio, allora, concesse a Tarassaco tutti e tre i doni che aveva desiderato.
È questa la ragione per cui, ancor oggi, questo fiore col suo giallosole è il primo a nutrire le api, è l’unico che, dopo esser divenuto luna, può giocare con i bambini che soffiano le sue stelle in cielo.
Forse è anche per questo che cresce ovunque: riesce sempre a rialzare la sua corolla anche quando viene calpestato.
I vecchi di Bruno Dall’Olio

Andate a trovare i vecchi
a mani vuote libere d’accarezzarli
a loro basta così poco
le briciole del pane
o il frutto ammaccato
raccolto sotto la pianta.
Portate una buona parola ai vecchi
la divoreranno sentendosi inutili
anche un fazzoletto piccolo
a loro può bastare
hanno il pianto piccolo
non appena restan soli.
Fateli importanti per
non far si’ che pensino
d’esservi di peso.
Andate a trovare i vecchi
restate a parlar con loro
lasciate che vi raccontino
ancora quella fiaba
vogliate bene ai vecchi
fateli morir d’amore
Petricore

Petricore è una parola dal suono strano. Quando la si pronuncia la lingua batte più volte tra i denti. Ticchetta. Ripete il suono della pioggia nel suo cadere sulla terra, su quella petra che la origina e che rilascia l’icore, il sangue degli dei, puro, evanescente e velenoso per gli uomini.
Petricore è il suono del profumo che si leva dalla terra asciutta quando è bagnata dalla pioggia.
